Con gli studenti e le studentesse dell’Itc “Barozzi” e dell’IIs “Selmi”, a Modena, in questi giorni (aprile 2016), ho discusso delle radici della violenza sulle donne: una storia che viene da lontano. Basti pensare, ad esempio, che nel nostro paese, fino al 1963, esisteva lo “ius corrigendi” che dava al marito il diritto di picchiare la moglie rea di aver commesso atti a suo giudizio sbagliati. Fino al 1981 è rimasto in vigore il delitto d’onore, che dava la quasi impunità al marito che uccideva una donna della sua famiglia, in ragione appunto di un’offesa da questa arrecata al suo onore, e il matrimonio riparatore che permetteva di violentare una ragazza e non pagare per la propria colpa sposandola. Solo dal 1996 la violenza nei confronti delle donne è considerata un reato contro la persona e non più contro la morale.
Ma la visione culturale non è cambiata, lo stupro è ancora considerato legittimato dalle “provocazioni” femminili (lo stereotipo è ancora: lo ha provocato, non è stata prudente).
E anche la violenza domestica è presentata come una questione sentimentale, che può portare, per gelosia, anche al femminicidio.
Lo stereotipo è sempre lo stesso: dall’«onore» tradito (che giustificava il diritto d’onore) alla questione sentimentale (lo ha tradito, lo ha lasciato).
L’idea è che l’uomo è da compassionare perché non ha retto all’abbandono.
Quindi la violenza omicida sarebbe scattata in una circostanza particolare, che ne costituisce una attenuante o per lo meno che spiega, giustifica il gesto estremo (il raptus, il dramma della follia).
Ma questa spiegazione, che dà una attenuante al colpevole, implica che nel comportamento delittuoso la donna abbia la sua parte di responsabilità, in quanto colpevole di avere suscitato la gelosia.
Si tratta di una rappresentazione falsata della realtà: il delitto è quasi sempre l’estremo risultato di una serie di comportamenti di lunga data, in cui le circostanze che l’uomo porta a giustificazione della violenza vengono continuamente mutate, man mano che la donna si adatta alle richieste, anche vessatorie, anche limitative della sua libertà.
Con l’adesione dell’Italia alla Convenzione di Istanbul e l’approvazione della legge 119 del 2013 di contrasto alla violenza di genere, passi avanti significativi sono stati fatti nel nostro paese.
Ma ancora ogni 2,2 giorni in Italia una donna viene uccisa, e sono 6 milioni e 788 mila le donne che, nel corso della loro vita, hanno subito violenza fisica o sessuale (di cui 2 milioni e 800 mila dal proprio partner). Un quarto delle donne in coppia ha subito poi violenze psicologiche. La violenza assistita (cioè compiuta di fronte ai figli) è in crescita.
E noi tutti sembriamo assistere, impotenti, come se questi reati, che avvengono così spesso fra le mura domestiche, non dovessero interrogare tutti noi e costringerci ad impegnarci per superare le radici, culturali, sociali ed economiche che sono al fondamento di queste relazioni pericolose.
Le diapositive della lezione di Maria Cecilia Guerra sulle Radici culturali e sociali della violenza sulle donne