Nell’ospedale pubblico di Cerignola (Foggia), l’unico ginecologo non obiettore si fa pagare da una donna che vuole abortire, minacciandola di non effettuare l’intervento entro novanta giorni dall’inizio della gravidanza.
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I tempi di attesa e la elevata incidenza di ginecologi obiettori, che supera l’80% in molte regioni del sud fra i problemi più rilevanti dell’applicazione di una buona legge.
La legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) risale al 1978. Da allora le paure che essa avrebbe favorito il ricorso all’aborto sono state continuamente smentite: dopo un iniziale aumento dal 1978 al 1983 per l’emersione dell’aborto dalla clandestinità si è osservata una costante diminuzione dell’ IVG, sia pure con una riduzione più lenta nelle condizioni di maggior svantaggio sociale.
Dal 1982 al 2012 le interruzioni volontarie di gravidanza sono calate del 54.9%.
Il ricorso all’aborto tra le giovani in Italia è minore rispetto a quello registrato negli altri Paesi dell’Europa Occidentale.
Una criticità è rappresentata dall’aumento degli aborti effettuati da donne straniere, che si è andato però stabilizzando negli ultimi 5 anni. Anche per le donne straniere, il ricorso all’aborto rappresenta nella maggioranza dei casi una estrema ratio, in seguito al fallimento dei metodi impiegati per evitare la gravidanza. Il problema discende molto spesso da scarse conoscenze sulla fisiologia della riproduzione e dalla mancanza delle competenze necessarie per l’impiego corretto degli anticoncezionali.
Tempi di attesa: tra rilascio della certificazione e intervento la percentuale di IVG effettuate oltre 3 settimane, pur in diminuzione resta del 15.7% con una certa variabilità tra regioni.
Più di due su tre i ginecologi obiettori (69.3% nel 2011), con notevoli variazioni tra regioni e una elevata incidenza specialmente al Sud:
88.4% in Campania, 87.9% in Molise, 85.2% in Basilicata, 84.6% in Sicilia, 83.8% in Abruzzo, 81.8% nella PA di Bolzano e 80.7% nel Lazio.