Il Governo ha licenziato, il 10 luglio, lo schema di legge delega di riforma del terzo settore. Una riforma molto attesa che abbraccia un insieme di problematiche che da anni sono oggetto di attenzione – dal riordino della disciplina giuridica dei soggetti che a vario titolo rientrano nel settore, alle modalità del suo finanziamento, alla struttura di governance interna, ad un sistema ordinato di agevolazioni fiscali, per citare solo i più importanti – fino a coinvolgere due altri punti di grande rilievo, che meriterebbero apposito approfondimento: l’impresa sociale e il servizio civile. Ma vari passaggi della delega sembrano ipotizzare anche una riforma del welfare, in cui in nome di una malintesa idea di sussidiarietà, al terzo settore si chiede di sostituire un settore pubblico che si ritrae dalla propria responsabilità primaria a garanzia dei diritti di cittadinanza delle persone, fra cui rientrano, a pieno titolo, il diritto di fare e allevare i propri figli, di garantire un invecchiamento sereno ai propri anziani, di farsi carico dei soggetti più fragili in quanto poveri o con disabilità. Il terzo settore è ben consapevole dei rischi di questo approccio; ha sperimentato sulla propria pelle, in tutti questi anni, come a un intervento pubblico debole corrisponda un terzo settore indebolito. Per questo teme un approccio “riduzionista” al tema del welfare e, attraverso il documento con cui il Forum del terzo settore ha partecipato alla consultazione voluta dal Governo, ha sottolineato il suo timore di vedersi “concentrato a dare risposte (al più basso costo possibile) ad un nuovo welfare, dove lo Stato si ritrae”. La mia proposta di riflessione sul tema in un articolo apparso sul nuovo giornale online “il campo delle idee”
Articolo di Maria Cecilia Guerra La legge delega sul Terzo settore e il rischio di una riforma surretizia del welfare